Albo d’Oro Premio Aldo Sacchi

Premio alla carriera Aldo Sacchi

Il premio alla carriera Aldo Sacchi nato per ricordare il nostro grande amico e maestro di vita, nel ricordare chi fu Aldo Sacchi, vogliamo riportare una delle ultime interviste fatte da Stefano Calvi  fatta il 10 giugno del 2002, dove è racchiusa la vita di un uomo fantastico.

 

NOVANT’ANNI DI RICORDI del grande chef

Fu Aldo Sacchi a portare al “ Savini di Milano i tipici fagioli di Gambolò

Veniva dalla già grande Milano, dove lavorava per i migliori alberghi, nei giorni di riposo per approvvigionarsi dei prelibati fagioli borlotti di gambolò; li portava nelle nobili cucine del Savini, dell’Hotel Regina, alla Vecchia Centrale, dell’Excelsior Gallia per dare corpo a straordinari risotti che da ragazzino, sulle rive Lomelline del Ticino , la vecchia madre gli aveva insegnato fare. Per Aldo Sacchi, grande chef Pavese di Torre D’Isola, quei coloriti fagioli Lomellini (“Solo a Gambolò nascono così grossi e farinosi “spiega) erano un respiro felice dell’aria di casa, erano un alito di ricordi giovanili in quelle cucine d’alto rango dove si preravano pranzi per prestigiosi uomini d’affari della Milano-bene come Vittorio e Mario Crespi ( allora proprietari del “Corriere della Sera”), per grandi artisti come Giacomo Puccini e Pietro Mascagni, per consoli ed ambasciatori.
Erano gli anni dell’anteguerra.

Oggi Aldo Sacchi, decano degli chef lombardi, ha 90 anni d’età ed una lucidità professionale da fare invidia ad un ventenne. La sua caratura di chef è riconosciuta unanimamente in tutti gli ambiti gastronomiciItaliani.Sacchi è presidente onorario dei Cuochi Lombardi, è consulente dell’attuale commissione d’esame alla scuola Alberghiera Carlo Porta di Milano ma sopratutto un uomo dai mille straordinari ricordi.

Sona nato a Torre D’Isola nel lontano 1912″ conferma con innegabile nostalgia lo chef novantenne “ed ho sempre avuto nel cuore la mia terra, i prodotti e le tradizioni gastronomiche della Lomellina e non solo. Con i borlotti di Gambolò ho preparato i risotti per grandi della finanza milanese. E poi ricordo altri piatti nostrani con l’anguilla alla pavese in cui si usava nel condimento anche l’acqua del ticino. Ma allora era pura e cristallna”. “Mi ricordo poi” aggiunge Aldo che nei grandi alberghi in cui ho lavorato per 54 anni filati, arrivano anche squadre di calcio impegnate a giocare a Milano come il grande Torino, la Juventus, la Roma.Il loro piatto preferito era la Zuppa alla Pavese, perchè energetica e digeribile. Ma la nostra zuppa io l’ho portata anche in Africa, quando lavorai al Grad Hotel di Tripoli, oppureal Savoi di Forte dei Marmi, a Zurigo, al Miramonti di Cortina.

Oggi ho qualche rimpianto che nei menù della nostra terra, nei nostri ristoranti locali, la zuppa alla pavese è scomparsa. Chia ama la cucina tradizionale tipica, non può certo scrdarla”.

Aldo Sacchi, ancora ragazzo fece il suo apprendistato solo cucina. “Allora non cerano scuole alberghiere” ricorda lo Chef “e tutto ciò che si apprendeva arrivava dai ricordi di mamme e nonne, dalla fatica quotidiana, dai segreti dei maestri con cui si lavorava al fianco con grande umiltà e impegno. A 14 anni ho trovato il mio primo lavoro nella cucina di culto del Savini. E poi infinite esperienze a Milano, in Italia, in Svizzera ed in Africa. Dopo tanto peregrinare ho ultimato la 62 anni di età la mia carriera alla Galleria del Corso a Milano e alla Edison di Foro Bonaparte”. La mirabile avventura culinaria di Aldo Sacchi, chef internazionale con l’innato amore per la sua terra d’origine, per il Ticino, per i borlotti di gambolò, per la zuppa legata alla battaglia di Pavia, non si è certo fermata all’età della pensione. Sacchi a continuato come consulente e libero professionista ed oggi è ancora ospite d’onore dei tanti eventi gastronomici che la Federazione Italiana Cuochi organizza in Lombardia: dimostrazione di affetto e riconoscimento per la sua indiscussa professionalità.

Stefano Calvi